Da don Pippinu Amicu si faceva ressa il giorno che usciva la dispensa sulle gesta di Salvatore Giuliano
Non ricordo bene in quale anno, certamente non avevo ancora 11 anni (io sono del ’38), quando percepìi il movimento che c’era nella cartolibreria Amico, sita proprio di fronte al vecchio municipio di Mussomeli.
Precisamente dove compravamo libri e quaderni per la scuola. Da don Pippinu Amicu si faceva ressa il giorno che usciva la dispensa (il fascicolo) che raccontava le gesta di Salvatore Giuliano: l’eroe popolare del momento.
Un certo maresciallo Longo, si disse, partì da Mussomeli per catturare Giuliano e nel giro di qualche giorno tornò ferito ad un braccio...e fu subito trasferito altrove. Forse temendo la vendetta degli affiliati a Giuliano.
Gli organi di Stato definivano bandito Giuliano, ma la maggior parte dei siciliani onesti lo favoriva perchè la pensava diversamente...per alcuni era un vero esempio di coraggio e ribellione.
Ricordare ora quel che allora si percepiva e vedeva con gli occhi di un bambino serve a capire l’ambiente culturale di allora, le abitudini, le situazioni socio economiche, culturali e ambientali di un popolo in guerra (si veda il libro sulla Banca di li parrini intitolato I cento anni della Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe di Mussomeli di Enzo Giardina). Costretto a sopravvivere senza mezzi adeguati in condizioni di fame, cruda, reale...e costante...non era un film. Le ingiustizie e i soprusi e altro causavano disastrose conseguenze di intolleranza.
Questa era l’Italia del contrabbando e dell’ammasso. Il contrabbando faceva gli spregiudicati ricchi di soldi ma senza valori umani. Gli organi di controllo dello Stato preposti al cosiddetto dazio, in ogni dove, lasciavano passare autotreni di grano senza fare una multa e inveivano su i poveri contadini che si arrangiavano per tirare avanti. Come successe allo sfortunato Giuliano che per qualche sacco di grano da vendere a Palermo per barattarlo con altra merce glielo sequestrarono. Da questi ed altri motivi nacque la ribellione ed il diffuso banditismo.
La cultura della ribellione, sociale, regnava nelle menti di noi ragazzi...nonostante a scuola e in famiglia ci insegnavano come diventare cittadini modello. In noi ragazzi c’era la convinzione che la Giustizia non era affatto Giusta...e che alcuni organi dello Stato, e degli Enti pubblici, erano degli ipocriti truffatori e che Giuliano non era un bandito ma un mito. Nun si fa pusari na musca ncapu u nasu: non si fa posare una mosca sul naso (non si fa prendere in giro).
Perciò giocando si cercava di imitarlo. Come ora fanno i ragazzi con Superman e altri idoli. Io fui affascinato da Giuliano e organizzai una banda di circa una trentina di ragazzetti con i quali, tanto per cambiare, giravamo per il paese armati di fionde (filecci), archi e frecce appuntite fatte con i raggi degli ombrelli fuori uso. Armi pericolosissime perchè capaci di infilzarsi nel corpo umano e quindi anche negli occhi. La mascalzonata più eclatante che mi viene in mente è la seguente! Tornando da un’escursione al Castello, nei primi giorni di Maggio, ci capitò di passare vicino ad un campo seminato a fave. Assaggiammo le prime tenerissime fave verdi, ci piacquero molto...per questo, come cavallette, in un batter d’occhio mangiando e calpestando devastammo il campo. Neanche Attila avrebbe fatto peggio. L’avventura durò poco: le mazzate (li pira si chiamavano allora) dei nostri genitori e le nostre coscienze ci hanno fatto cambiare idea e avviarci sulla buona strada.
Gli episodi narrati sono veri: ma si nun ci criditi affari vostri sunnu...ah!
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