Durante l’invasione degli Alleati, nell’ultima guerra mondiale, la fame a Mussomeli era di casa, come e forse più degli altri comuni del Vallone. Gli Alleati, comunemente chiamati Americani, sbarcando nel sud della Sicilia continuarono a salire, da Vaddi e dalla strada mulattiera Sutera-Mussomeli verso nord.
I tedeschi, prima nostri amici, poi diventati nostri avversari, si trovarono a passare da questi accessi verso il nord Italia prima degli americani… per raggiungere il resto dell’esercito di Hitler, già in ritirata forzata verso il loro Paese. Durante questo tragitto molti soldati tedeschi persero la vita nelle valli tra Sutera e Mussomeli.
Io, allora, ero tra i 5 e i 6 anni, mi ricordo che dalla finestra di Via Militello n. 74 vedevo cadere le bombe che poi scoppiavano a terra. Ricordo anche l’accampamento, degli invasori americani, all’Annivina e a Castelluccio, ovunque c’erano cataste di latte per generi alimentari vuote.
Sul far della sera, una volta u zzì Turiddu Trentacuasti, si mise d’accordo con i miei genitori per scappare dal paese, con le due famiglie, per andare a dormire a Castelluccio temendo bombardamenti a Mussomeli. Per un paio di sere abbiamo dormito tutti insieme a terra, uno accanto all’altro, stretti come sarde salate.
Quanto sopra per dire che a quei tempi (guerra e dopo guerra) sopravvivere era l’unico pensiero di ogni mussomolese, come ogni cittadino degli Stati coinvolti nella guerra.
La protagonista di questo fatto, era una donna che come tante mamme si dava da fare per non morire di fame insieme alla propria famiglia.
Questa donna i mussomelesi l’additavano col soprannome di “l’Addilurata”. Il marito invece la chiamava a Liunissa, (la leonessa) per il coraggio e la caparbietà con cui gli procurava il lavoro, davvero in circostanze tristi, tragicomiche e straordinarie.
Il “forzato mestiere” gli imponeva un certo abbigliamento e nel vestirsi non badava certo all’apparenza, anzi era molto trasandata e qualche volta dimenticava pure di pettinarsi. Per apparire mesta si copriva la testa con uno scialle nero o con un’altra tinta appropriata. Pensando alla sua numerosissima prole, fin dal primo mattino di ogni giorno era gia pronta per la lotta quotidiana. Il marito era un falegname che costruiva di tutto: mobili, serramenti, pile di legno (nota 1), maiddi (nota 2), mobili per la cucina e tutte le altre cose che riguardavano il legno. Il guadagno principale era però quello di un mobile per le ultime occasioni. Cioè quello che si indossa orizzontalmente: la bara. Specialmente per la povera gente: quattru tavuli nchiuvati, quattru manigli, na crucidda, na mascariata di virnici e lu tabutu iera fattu (cioè, 4 tavole, 4 maniglie, una crocetta, una pennellata di vernice e la cassa da morto era fatta) pronto per l’ospite involontario.
A non farsi sopraffare dalla concorrenza degli altri falegnami ci pensava l’Addilurata, che di buon mattino si faceva il giro del paese per sapere se durante la notte qualcuno se ne fosse andato, o se qualche altra vecchietta stesse per tirare le cuoia. Oppure se c’erano aspiranti cadaveri che per qualche motivo stavano a letto in punto di morte. Ma se il malato non era grave i parenti la mandavano via… “vatinni ca nun ci nnè travagliu”: vattene che non c’è lavoro per te. Allora si usava che, aspettando il triste evento, gli amici e i parenti pregassero per “l’anima santa”. Quando il disinteressato emanava l’ultimo respiro ci si alzava tutti in piedi e si recitava l’eterno riposo. Prima che ciò accadesse la leonessa, addoloratissima, da vera attrice, recitava la parte che permetteva alla sua famiglia di sopravvivere. Rivolgendosi ai parenti più intimi, con fare costernato, come se fosse lì per caso diceva: cusà (ma speriamo di no) ci fussi di bisuagnu du tabutu ci pensa ma maritu ca vi fa risparmiari (se ci fosse bisogno della bara ci pensa mio marito a farla, perchè vi fa risparmiare).
Ormai era così abile nell’intuire dove ci scappava u muartu che le persone appena le vedevano brillare gli occhi (nota 3), tornando a casa, le domandavano: cu murì? Quando è il funerale?
Povera donna… anche se ero un ragazzetto mi stava simpatica e capivo bene il travaglio del suo animo … e l’istinto di conservazione che come una vera leonessa della savana, lottava quotidianamente, nella foresta umana, per non morire di fame !
1) Pile: vasche di legno adatte per fare il bucato.
2) Maidda: piatto di legno, unico per i commensali, a forma rettangolare dove si versare da mangiare.
3) Nonostante l’atteggiamento triste, gli occhi esprimevano gioia per il procurato lavoro.