Dopo, non so quanti anni, ho trovato e letto Quadìa, terra di mori (romanzo, edizioni ALPES, Milano, MCMXXX – 1930, e successivamente ristampata nel 1968 da Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta – Roma con prefazione di Leonardo Sciascia) di Paolo Giudici.
Certo è un libro scritto nei primi del Novecento, ma la storia di Vanni Lo Manto, sembra scritta ieri.
I pregiudizi, le meschinità, le invidie e la roba continuano ad essere di scottante attualità, come se cento anni dall’ambientazione di questo capolavoro non fossero mai passati. Ritrovo, leggendolo, al di là, dei personaggi reali o inventati, le stesse situazioni da parte di chi scrive negli anni in cui ha vissuto a Mussomeli.
Vanni Lo Manto, nasce figlio illegittimo di Giuseppe, padrone di otto tumoli in contrada Quadìa: un pezzetto di terra che sembra benedetto da Dio, tanta è la bontà e la quantità dell’uva, dei cocomeri, delle zucchine e ogni tipo di verdura e frutta per tutte le stagioni.
Ma don Peppi Lo Manto, fimminaru, cacciatore, prepotente e bestemmiatore, ha una relazione con la bellissima, ma di modeste origini, Grazia la Mora. Nasce un bimbo bellissimo, Vanni, legittimato dal Lo Manto, ma mai riconosciuto e accettato dai fratelli, che sono tanti e tutti con la testa alla Quadìa: un maestro di scuola, un farmacista, un prete e due zitelle o meglio due streghe.
Tanti i personaggi che fanno cornice alla tragedia di Vanni, tutti prototipi di veri o inventati poco importa: l’usurario, il barbiere chiacchierone, il piccolo delinquente che insidia la fedele, nonostante tutto, Grazia la Mora, le comari, la bimba innamorata da sempre di Vanni, la miracolata dal terremoto adottata dai Lo Manto che ne fanno un serva e poi Saro Lo Manto, il classico prepotente, protetto dalla famiglia e il predestinato Marco che diverrà prete.
E per Vanni, figlio della malasorte? Grazia la Mora, sogna di farne un dottore in medicina, ma a don Peppi non interessa, continua la vita di sempre e la cambiale firmata la Sanguisuga gli costerà la perdita della Quadìa che torna in mano ai fratelli Lo Manto, ma non a Vanni che sceglierà la via del servizio militare in guerra: soluzione ultima di un possibile riscatto.
Verghiano? Forse. Troppi proverbi. Anche. Toscanismi? Era l’epoca. Perfezione stilistica? Tanta. Un capolavoro? Senza alcun dubbio. Realtà o invenzione? Forse, ma poco importa.
Rivisiterò, spero, altri suoi scritti e sono sicuro di trovare lo stesso incanto e la stessa passione che ho messo nel divorare Quadìa, terra di mori.
In questo breve passo, riportato sotto, c’è tutto lo scrittore, Paolo Giudici che ebbe i natali a Mussomeli e che con troppa fretta venne messo da parte dalla critica. (Forse perché fascista della prima ora ? Voi che ne dite!).
In fondo, al buio, le mule rosicavano la paglia nella mangiatoia e battevano tratto tratto gli zoccoli sul selciato sudicio di strame marcito; qualche carrettiere, avvolto in una bisaccia fra le stanghe di un carro, russava; presso il focolare, intorno all’agonìa di due magri tizzoni, sedevano le comari e chi faceva calza e chi col fuso e la conocchia filava e chi rammendava e chi cuciva e chi oziava, ed ognuna diceva la sua, mentre fuori scrosciava la pioggia o come un’anima dannava fischiava la tramontana sui tetti dell’Indovina.
Per saperne di più su Paolo Giudici vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese
Piero Ciccarelli, Mussomeli, Caltanissetta, Sicilia