U pitittu

 

Ormai fa parte delle storia del costume italiano e fu senz’altro un fenomeno di grande portata tale da scomodare scrittori e giornalisti come Umberto Notari, Indro Montanelli, Enzo Biagi e quell’intellettuale fine e arguto come Ennio Flaiano: scrissero articoli di grande e sottile ironia ma anche di grande rimpianto. Stiamo parlando della chiusura dei Casini o Case Chiuse.
Furono giorni di grande mestizia e l’eco arrivò anche a Mussomeli.
Un mito inarrivabile questa istituzione su cui lo Stato lucrava.

Io appena tredicenne non è che ne capissi molto, ma mi incuriosivano i discorsi degli amici più grandi, e questo fu per mesi l’argomento principale di conversazione di interi pomeriggi assittati nu scaluni.
L’argomento sesso, era proibito a casa. Guai ad affrontare simili discorsi con i genitori. Argomento tabù, da non confondere con Hatù, nota marca di profilattici.
Mi raccontava un amico più grande che quando qualcuno entrava in farmacia per comprare il profilattico per non farsi capire dagli altri clienti diceva al farmacista: mi servi chiddu chi sa tu!

Ma Mussomeli come era cuminatu ad iniziazione dei giovani al sesso?
Niente di niente e pitittu assoluto.
Ma il peccato a base di sesso c’era comunque. Niente a che dividere con la Case Chiuse di Palermo o Caltanissetta, ma il suo piccolo quartierino a luci rosse c’era anche a Mussomeli: u muru ruttu.
Li regnava la Cutina*, una donnona che solo a vederla a noi ragazzi faceva paura. Brutta, grassa e dava una vaga sensazione di sporcizia. Come si potesse…, ma qualcuno diceva: cu ducientu liri chi vua!
Poi c’era quella che molti di noi ragazzini soprannominammo l’ Ape Regina*, nel senso che era irraggiungibile. Intanto una somma enorme 450 lire, quasi la paga di un giorno di un manovale, e poi perché ci voleva la presentazione di un amico fidato.
Ma per tutti la più nota era Lucia a Friddusa*, prezzo modico: 250 lire e, mi dicono, una prestazione soddisfacente.
Poi nella parte bassa del paese c’erano altre due gentil signore: anche queste a tariffa accessibile (a 250 lire). Certo, a quanto mi dicono, non erano un bel vedere e probabilmente neanche un bel godere. Ma questo era il massimo che il paese offriva.

Ma noi la scappatoia l’avevamo. Ma che state pensando?
Di ragazze, manco l’ombra.
Con le donne che facevano la passeggiata in via Palermo? Talìatuna e basta.

E allura?
Sognavamo amori impossibili. Qualche studente narrava le proprie avventure: frutto di fantasie raccontate ad hoc per destare invidia.

Chi pitittu!
Ancora oggi, io amo dire che appartengo alla generazione du pitittu e per questo forse, mi continuo a girare per guardare le donne: un retaggio ereditato da quegli anni.
Niente sesso, ma l’amore era una scoperta e un pugno allo stomaco.

*(Pseudonimo di fantasia)

Per saperne di più su Pitruzzu Ciccarelli da Mussomeli vi invitiamo a consultare la scheda in Bibliografia Mussomelese

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Scritto da: Ciccarelli_Piero - il 27 febbraio 2011 - Categoria: Quannu mi chiamavanu Pitruzzu ! - Nessun Commento -

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