Sicilia, Sicilia, canta na carusedda.
Sicilia, Sicilia, joca na funtanedda.
L’aria e lu suli inchinu l’arma di puisia.
Sicilia, Sicilia, tu si la patria mia.
Questi versi cantavamo noi piccoli allievi del Maestro Carmelo Pennica in occasione del saggio ginnico e canoro che celebrava la fine dell’anno scolastico.
Erano i primi anni ’50 presso il chiostro dei Domenicani, sede della scuola elementare maschile.
Vi erano due sezioni scolastiche. L’altra sezione si esibiva nel saggio ginnico.
Da adulto ho pensato che quel raduno nel cortile della scuola, con quelle strisce bianche per terra che creavano una specie di scacchiera, dove trovavano posto i ginnasti, potesse essere un retaggio del ventennio dal quale erano trascorsi solo pochi anni. Tuttavia allora ci sentivamo orgogliosi protagonisti di un avvenimento importante e gioioso al quale arrivavamo dopo mesi di preparazione.
Naturalmente il Maestro Carmelo ci faceva cantare anche e soprattutto l’Inno di Mameli. Quanto ci piaceva l’Italia che si cingeva dell’elmo di Scipio ! E poi, quel ripetere la strofa in rapida sordina, in crescendo, per esplodere infine nel che schiava di Roma Iddio la creò. Credo che ancora oggi i ragazzi della mia generazione conoscano per intero almeno le prime due strofe dell’Inno; avendole comunque studiate tutte e cinque. E nel ritornello cantavamo stringiamci a coorte, l’originale ! E non come si usa ultimamente, stringiamoci a coorte, lasciando perdere quanti arrivano all’obbrobrioso stringiamoci a corte. Sissignori!
In quegli anni celebrammo anche il ritorno di Trieste all’Italia. E cantammo:
Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore.
Oh Italia, oh Italia del mio cuore.
Tu ci vieni a liberar.
C’era veramente di che buttare fuori tutto il nostro fiato, incitati dai gesti del nostro Direttore! Grande, grosso. Impeccabile con la sua ordinatissima e lucida mascagna e l’amabile suo sorriso.
Probabilmente dell’era fascista era retaggio anche l’uso della ferla a scuola. Credo, non tanto per la punizione corporale in quanto tale; poiché faceva parte del metodo educativo scolastico di allora. Anzi i genitori, nel consegnare i figlioletti ai maestri, chiedevano loro di essere severi. Fino a usare la ferla, se meritata! Questo costume ritengo sia durato fino al boom economico degli anni ’60 (la new generation!). Sicuramente però derivava dall’era mussoliniana la maniera di usare la ferla. Infatti, prima di battere sul palmo della mano, l’insegnante censore pronunciava la fatidica parola: “FAVORISCA”! Fa-vo-ri-sca? Così era la punizione comminata in modo solenne e quasi impersonale dal nostro caro Maestro al quale mai gliene volemmo per questo.
Un altro ricordo singolare e simpatico lo conservo per la modalità, moderna ante litteram, di chiedere un giorno di vacanza oppure di essere portati a passeggio. Oggi mi pare quasi incredibile. Infatti a volte, pochi minuti prima che suonasse la campanella per entrare nelle aule, qualcuno cominciava spontaneamente a incitare gli altri a voce alta: “Va-can-za….va-can-za….va-can-za….” oppure “pas-seg-gio….pas-seg-gio….pas-seg-gio….”. Al che il cortile risuonava con una sola voce: Vacanza, vacanza! Oppure, passeggio, passeggio! Ebbene non ci crederete, ma non ricordo di un’occasione in cui non fummo accontentati. Evidentemente, credo proprio che non facessimo un uso esasperato di tali richieste. L’istituzione scolastica aveva i suoi connotati di severità! E poi c’è da considerare che la maggior parte di noi allievi, per un certo periodo dell’anno scolastico ci fermavamo a mangiare alla mensa della scuola a mezzogiorno. Pasta e fagioli (la carne dei poveri), formaggio giallissimo dell’opera del Vaticano e carne in scatola. Piatti che ancora oggi sono tra i miei preferiti.
Lasciai Mussomeli all’età di undici anni per altri lidi, come fecero tantissimi miei coetanei.
Una mia attuale vicina di casa, nelle poche occasioni che ho di stare in Via Manfreda, durante un alterco verbale, purtroppo sempre di moda nel nostro amato paese, mi ha recentemente apostrofato con un simpatico e isterico: viddanu arrinisciutu !
E’ vero ! Mi riconosco perfettamente nell’epiteto. Anzi ne vado fiero.
M’incamminai pe ‘l mondo ignaro e franco
(Luigi Pirandello: Casa romita… da Ritorno, in La Zampogna - 1901, Società Editrice Dante Alighieri, Roma -1901, stampato da Officina Poligrafica Romana)
Pinu Bonzangu