La tomba di Caprera di Giuseppe Garibaldi: una lirica di Paolo Giudici

 

Per l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882) nonché Leon di Gibilrossa, ed in particolare per la sua tomba di Caprera, nel 1908 lo scrittore, storico e poeta di Mussomeli Paolo Giudici (1887 – 1964), all’età di 21 anni, scrisse una poesia pubblicata in una sua raccolta (I Poemi degli Eroi, Liriche, Roma – La Vita Letteraria Editrice, XXIV volume della collezione poetica) data alle stampe usando l’aggiunta della E puntata (E.) interposta tra Paolo e Giudici (cioè Paolo E. Giudici) e lo pseudonimo di Julio D’Agopic. Lo stratagemma della E puntata, sarà adottato volutamente dal Giudici (interessante espediente usato per cercare di indurre ed evocare nel lettore l’associazione  tra il suo nome e quello dell’altro letterato mussomelese Paolo Emiliani Giudici) anche per altre pubblicazioni ed ancora oggi risulta essere motivo di confusione, in varie Biblioteche Italiane, per la corretta assegnazione delle sue opere.
La poesia è dedicata a Giovanni Marradi (Livorno, 21 settembre 1852 – Livorno, 6 febbraio 1922) letterato e poeta risorgimentale, noto per aver scritto Rapsodie Garibaldine. Paolo Giudici infatti guarda e vede un poeta toscano, Marradi giustappunto, brancolare attorno l’urna e …cantar l’epiche lotte, le vittorie e l’eroiche gesta dell’Estinto.
Il poeta tra i versi cita Gibilrossa, una piccola frazione del Comune di Misilmeri (poco distante da Palermo) celebre per essere stata utilizzata come punto di appoggio dalle truppe garibaldine per la presa di Palermo definendo Garibaldi Leon di Gibilrossa.
Paolo Giudici cita anche il figliuol dell’Eroe e precisamente uno dei figli Ricciotti Garibaldi nato in Uruguay (Montevideo, 24 febbraio 1847 – Riofreddo, 17 luglio 1924) da Giuseppe Garibaldi e da Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio conosciuta come Anita Garibaldi (Morrinhos, 30 agosto 1821 – Mandriole di Ravenna, 4 agosto 1849). L’origine del nome di Ricciotti è legata a quello di Nicola Ricciotti (Frosinone, 11 giugno 1797 – Vallone di Rovito, 25 luglio 1844) eroe e patriota fucilato dall’esercito borbonico nel corso della spedizione dei Fratelli Bandiera. Nel 1897 Ricciotti Garibaldi combattè in Grecia (così il Giudici: al turbine gettare il sacro giuro di far salva la Grecia) a Domokos, e nel 1912 a Drisko, al comando di un gruppo di garibaldini (camice rosse) a difesa dei Greci contro l’Impero Ottomano.
Ecco i versi del nostro.

La tomba di Caprera
  a Giovanni Marradi

Ride la volta azzurra, sconfinata,
ridon le stelle. Il vento impetuoso
infuria forte fra burroni e forre
e s’alterna col gufo e il mare rompe
le sue onde verdastre, coronato
di spuma bianca, sopra le silenti,
fantastiche scogliere. Al lume scialbo
de la luna, vagante fra l’oceano,
una massa si vede, isola verde,
che da le brume emerge e par che guardi
l’uno e l’altro emisfero e par che tremi
e dica al vento e al mare io son Caprera.
Là riposa l’Eroe, là dorme il fiero
Leon di Gibilrossa, il redentore
de la sicula gente. Una modesta,
piccola tomba, cui l’edera verde
fa manto, e intorno siepe profumata
il garofano rosso ed il geranio,
la sacra, invitta e venerata polve
di quel grande racchiude. E cresce il muschio
attorno ad essa e il gufo leggendario
vi si posa la sera e scoglie il mesto
pauroso lamento. Quell’avello
archi non ha, non ha colonne immense
ma, ne le notti e ne le scialbe aurore,
come un frullare indefinito d’ali,
e un palpitar di petali cadenti
e di giganti un respirare ansioso,
vi aleggia su del Dittator lo spirto.
  Tutta l’isola è un tempio; or quella tomba
È più sacra d’un’ara; e a lei da tutte
le contrade d’Italia in rispettoso
pellegrinaggio vanno; e turbe immense
bacian quel suolo e quelle sacre pietre
che il tempo sfideran.
                        De’ valorosi
la tomba è sprone agli altri e loco a cui
entusiasmo ed estro attingon sempre
il vate ed il guerrier.
                    E ancora vedo
il figliuol de l’Eroe, chino e raccolto
su l’ara di Caprera, meditare
su le geste d’un tempo e biascicare
fervide preci ed implorar lo spirto
del biondo genitore, e poi rizzarsi
e al turbine gettare il sacro giuro
di far salva la Grecia.
                    E guardo e vedo
un poeta toscano brancolare
attorno l’urna e l’edera con ambe
le mani discostar e scoperchiarla
e interrogar la polve ed, ispirato
sparse le chiome a l’aura, a’ quattro venti
cantar l’epiche lotte, le vittorie
e l’eroiche gesta de l’Estinto.
Salve, Caprera, che nel Mar Tirreno
Specchi le rive tue, che bacia l’onda,
a te innalzando il vago mormorio
come un inno di gloria, come un dolce
sorriso di Sirene, come un canto
di bianche Ninfe.
                   Salve, alma Caprera;
le tue scogliere sfideranno il tempo.
E ancora onori e fiori avrà la tomba
di quel grande guerriero, e ancor poeti
a lei verranno e scioglieranno canti;
e ancora prodi baceran quell’erbe,
che circondan quell’ara e da quell’ara
s’innalzeran promesse e giuramenti
finché l’onda del mar su le tue rive
cheta si frangerà, dolce Caprera.

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Scritto da: Stirpes - il 17 marzo 2011 - Categoria: Recensioni mussomelesi - Nessun Commento -

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