Fuori gioco da semplice metafora calcistica diventa metafora di una vita vissuta ai margini e in definitiva di un fallimento esistenziale.
Fuori gioco (Marsilio, 2009) di Salvatore Scalia, è la storia di un giovane della provincia siciliana che spera nel successo facendo il calciatore. Il titolo, rubato dalla regola principe del calcio, diventa metafora della vita di un ragazzo disadattato che si accorgerà troppo tardi di aver vissuto in un mondo tutto suo. La vita perduta di chi ha sempre vissuto nell’attesa: prima della fama, e poi di un posto di lavoro, sognando che il suo amore sia ricambiato.
Da espressione calcistica a fallimento esistenziale, sta qui la cifra di questo romanzo. I personaggi che si muovono all’interno del racconto rappresentano ognuno a suo modo la società: il padre di Paolo, che, grazie ad un noto esponente politico democristiano, ha trovato lavoro alla compagnia elettrica, tanto da meritarsi il soprannome di Fiat Lux, convinto di avere un campione in casa. Uno zio comunista, un allenatore senza tanti scrupoli, un presidente della squadra che riempie di palazzi Mascalucia, il paesino etneo dove vive Paolo, e un compagno di squadra, che capisce come vanno le cose del mondo, diventando, dopo avere sposato la figlia del proprietario di una catena di supermercati, padrone a sua volta, anche di mezza Mascalucia sotto la “protezione” della mafia. E poi c’è Lina, la moglie del presidente della squadra di calcio in cui gioca Paolo, aristocratica e superba che fa del protagonista il suo autista e “servo”, concedendosi a lui soltanto una volta e quasi per pietà.
La storia si snoda su due momenti di vita, attraverso la memoria del protagonista, Paolo Malerba. Prima, da ragazzo alla vigilia della partenza per Milano per un provino con una squadra a carattere nazionale, con Petru u Turco, Anastasi, come mito. Poi, da adulto che passeggia sui sentieri dell’Etna, dopo l’ultima partita. I primi ricordi sono di iniziazione sessuale, sentimentale, politica e morale, in un mondo, che premia i furbi, incarnato in primis dal padre, operaio raccomandato, che riversa sui figli le proprie frustrazioni. Ci sono però anche la madre di Paolo, che vorrebbe che il figlio studiasse e si creasse un avvenire vero, e Silvio, il fratello, capace di ribellarsi alle decisioni paterne.
Paolo adulto viene raccontato nel pieno delle ferite della delusione, mentre si rende conto di avere vissuto ad occhi chiusi, di avere amato servilmente una donna ricca e capricciosa, di essersi fidato delle promesse del suo protettore, assistendo indifferente mentre i suoi sogni venivano distrutti uno a uno. Paolo si ritrova così senza speranze, indifeso in un mondo ostile e incomprensibile, solo. E allora si chiude nel mutismo più assoluto e comunica a pronunciare solo poche parole, una cantilena “Eh, caro mio!, Eh, Caro mio! Si scassau a montagna“. Ed eccola la metafora dell’esistenza, nel messaggio di Scalia: Paolo che sogna il grande calcio. Paolo il cui provino all’Inter va bene, ma a causa di una piccola malformazione ai polmoni viene scartato. E’ l’inizio della fine per questo ragazzo, che credeva tutto fosse semplice: sesso a poco prezzo, intere giornate a scaldar la sedia dell’Etna Bar e poi la domenica tra gli applausi dei tifosi. Le illusioni annientano l’anima di Paolo. Quelle stesse illusioni che portano molti ragazzi “fuori gioco” dalla vita, emarginati e senza domani.
Su tutta la trama si staglia l’Etna, indispensabile punto di riferimento geografico e delle emozioni. Tanto che il fuoco del vulcano e la follia dell’uomo finiscono con l’identificarsi. La parte più bella del racconto, sta nell’originale idea di Scalia che, attraverso le lettere-diario del fratello di Paolo, Silvio, giornalista e insegnante di musica, riporta la vera storia di Paolo, perso nei suoi sogni e incapace di vivere. Fino all’epitaffio: “Poiché aveva atteso per anni che la lava ricoprisse ogni nefandezza, fu egli stesso che andò a congiungersi con la fonte della vita e del dolore“. Sono le parole che parlano delle fine del filosofo Empedocle. In questo modo si conclude l’esistenza di Paolo, vita bruciata di un calciatore di provincia.
Salvatore Scalia
Salvatore Scalia, etneo di Mascalucia, vive di giornalismo e dirige le pagine culturali del quotidiano La Sicilia. Ha scritto per il teatro e i suoi lavori sono andati in scena alla rassegna internazionale Taormina arte e allo Stabile di Catania. Ha pubblicato Teatro, Triologia del malessere e Appunti e per la Marsilio nel 2006, La punizione, due edizioni.
Scritto con la collaborazione di Tonino Calà
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